mercoledì 3 settembre 2014

Il business diventa social

Social business, ecco perché è vincente
Intervista a Paolo Degl’Innocenti, Vice President Software Group Ibm Italia. Che spiega perché le imprese e le amministrazioni pubbliche devono sfruttare al meglio le opportunità social


Se è vero che le risorse umane sono un asset competitivo strategico, valorizzarle e metterle nelle condizioni di esprimersi al meglio dovrebbe essere una priorità per qualsiasi azienda. Il vecchio organigramma è uno strumento ormai superato: per farlo oggi si ricorre al Social Business. Il web 2.0 ha trasformato radicalmente le relazione tra le persone, sia nella sfera privata sia in quella professionale. Ibm ha fatto propri questi processi trasportandoli in un contesto aziendale e sviluppando strumenti dedicati alla collaborazione tra le persone. “Dall’esperienza maturata al proprio interno, oggi Ibm porta sul mercato soluzioni tecnologiche affinché le imprese e le amministrazioni pubbliche italiane possano sfruttare le opportunità social ottimizzate per il business”, spiega Paolo Degl’Innocenti, Vice President Software Group Ibm Italia.

Ma che cos’è esattamente il Social business?

“Difficile trovare una definizione universale, posso direi che nella visione e nell’esperienza di Ibm il Social Business è una piattaforma di collaborazione che rappresenta il tessuto connettivo di tutti i processi aziendali, sia verso l’interno sia verso l’esterno. Noi abbiamo cominciato questo percorso 15 anni fa, prima lavorando internamente all’azienda e poi andando sul mercato. L’obiettivo di queste piattaforme è risolvere alcune problematiche attraverso un sistema di connessione sempre più stretto tra persone che lavorano insieme, magari a migliaia di chilometri di distanza e con un diverso fuso orario”.

Che genere di problematiche?

“Tanto per fare alcuni esempi: diffusione e condivisione delle conoscenze, enablement della forza lavoro, facile reperimento delle competenze e delle informazioni per lo svolgimento delle attività, mantenimento di una forte identità aziendale anche in realtà multinazionali e geograficamente disperse. Ovviamente questi strumenti hanno un impatto positivo sulla vita professionale delle persone che più facilmente possono essere coinvolte, e non solo informate, sulle strategie e gli obiettivi dell’azienda. Per non parlare dell’inserimento dei neoassunti: per capire quanto sia decisivo permettere a una nuova risorsa di lavorare al meglio nel più breve tempo possibile basti pensare che il 50% del personale Ibm ha meno di cinque anni di anzianità”.

Ma il social business è una prerogativa di aziende multinazionali?

“Assolutamente no. Per una realtà come Ibm, con 400 mila dipendenti sparsi in 200 Paesi del mondo, questi sono strumenti imprescindibili. Ma anche aziende di medie dimensioni che devono affrontare complessità come la delocalizzazione, la dispersione geografica, il reperimento delle informazioni o la necessità di una proposta commerciale coerente e univoca, difficilmente possono farne a meno, soprattutto se la priorità è quella di essere veloci e reattivi sul mercato”.

Quando e come è cominciato il percorso di Ibm nell’ambito del Social Business?

“Ovviamente non c’è una vera e propria data di inizio. A me piace pensare che questo percorso sia cominciato nel 1963, con un pensiero di Thomas Watson Jr, allora Ceo di Ibm. La sua riflessione era: il successo di un’azienda si misura attraverso la sua capacità di mettere le persone nelle condizioni di esprimere al meglio i propri talenti e le proprie conoscenze. Ovviamente questo non è l’inizio del nostro percorso nel Social Business ma la dice lunga su quanto sia radicato nella nostra corporation il concetto della collaborazione. Ibm ha cominciato a lavorare in questo ambito fin dalla fine degli anni Novanta. Nel 2003, per esempio, abbiamo lanciato il Value Jam: tutti i dipendenti Ibm nel mondo sono stati invitati a partecipare alla ridefinizione del sistema valoriale dell’azienda. Anziché affidare l’incarico ai top manager, l’iniziativa è stata aperta a tutti i lavoratori, a prescindere dal livello e dall’anzianità aziendale. E per diversi giorni decine di migliaia di persone hanno discusso, in totale libertà, all’interno di appositi forum. Sulla base di questa formula, abbiamo organizzato diverse altre Jam”.

Per esempio?

“L’Innovation Jam del 2006, che è stata aperta anche a una settantina di grandi aziende clienti di Ibm. La partecipazione fu enorme, solo tra i nostri dipendenti parteciparono circa 150 mila persone. Da quell’enorme discussione furono individuati dieci nuovi progetti di business per lo sviluppo dei quali Ibm ha investito 100 milioni di dollari. Nel 2005 abbiamo anche lanciato la Ibm Media Library, una gigantesco database multimediale nel quale sono stati inseriti materiali di ogni genere, dalle classiche presentazioni ai filmati, ma anche report, documenti di education, file audio, ecc.. Lo spirito di questo progetto era la condivisione. Lo sharing di cui oggi si parla tanto…”.

Guardando avanti, invece, qual è la strategia di business di Ibm in questo ambito?

“Attualmente la strategia di Ibm è fatta di tre priorità. Primo: rendere disponibili sul mercato strumenti sempre più avanzati di analisi dati. Secondo: ridisegnare l’industria IT attraverso il Cloud. Terzo: abilitare sistemi per l’engagement in ambito aziendale. Il social ovviamente è un pilastro portante di questa terza priorità che punta a creare soluzioni e applicazioni mirate al coinvolgimento delle persone in tutte le attività della sua vita, dalla sfera personale a quella professionale passando anche per la sua dimensione pubblica di cittadino. In ambito aziendale, naturalmente, un’azione di social business punta a rendere il lavoratore più efficiente nella sua attività, supportandolo con strumenti evoluti di collaborazione”.

Detto così sembra facile…

“Sì, ma quando parliamo di un Jam in grado di generare decine di migliaia di contributi è necessario avere strumenti molto sofisticati per tirare fuori valore da questa enorme massa di informazioni. Per questa ragione lo sviluppo delle nostre piattaforme di collaborazione va di pari passo con quello dell’analisi dei dati. Sul fronte interno e su quello esterno. Per fare un esempio: una grande assicurazione ha necessità di creare piattaforme di collaborazione per dare ai propri dipendenti strumenti di lavoro più efficaci, allo stesso tempo però deve anche dialogare e rendere più proficuo il rapporto con il personale delle agenzie sparse su tutto il territorio”.

Ibm ha recentemente annunciato la nuova versione della piattaforma Connections. Quali sono le principali novità?

“L’obiettivo di questo nuovo sviluppo è quello di avere uno strumento più flessibile per poter fornire al cliente una piattaforma di collaborazione tagliata sulle sue necessità e in tempi ancora più rapidi. Ovviamente questo è un servizio che possiamo offrire in formato tradizionale, sul cloud oppure in una formulazione ibrida. Nella nuova Connections sono state potenziate tutte le funzionalità relative alla condivisione e sincronizzazione documenti, sono stati integrati strumenti per l’analisi dei dati e, naturalmente, è stato garantito l’accesso al servizio da qualsiasi strumento, anche in mobilità”.

Quali aziende italiane utilizzano questi strumenti?

“Ce ne sono molte e in diversi settori. Per esempio le banche, che usano il social business più o meno come lo usiamo all’interno di Ibm. Ma ci sono anche assicurazioni, aziende alimentari, retail e pubblica amministrazione”.


Intervista apparsa su:

http://www.wired.it/economia/business/2014/07/31/social-business-ecco-perche-e-vincente/
http://bkmquattroemme.blogspot.it/2014/09/a-fine-luglio-e-uscita-una-interessante.html

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