venerdì 25 gennaio 2013

Archiviazione elettronica come lavoro di squadra

Nell’ambito aziendale, la conoscenza, intesa come l’insieme delle competenze e capacità possedute da coloro che operano nella realtà aziendale stessa, nonché dalle tecnologie utilizzate per l’esplicazione delle proprie funzioni operative, è alla base di qualsiasi processo decisionale ed è un elemento critico determinante per generare valore e innovazione. A differenza di alcuni elementi facilmente quantificabili e misurabili, come quelli economici, il capitale intellettuale è un asset intangibile, che ha un concetto molto sfumato, in quanto include, ad esempio, il talento e tutto il know how alla base dei processi aziendali, difficili da codificare e quindi, naturalmente, da trasmettere.
La corretta gestione documentale assume in tale contesto di riferimento un ruolo strategico: in una società della conoscenza, come quella in cui oggi viviamo, è di fondamentale importanza per le aziende “possedere” e far arrivare all’utente giusto, l’informazione appropriata, al momento opportuno. Se consideriamo che circa il settanta per cento dell’informazione risiede nei documenti, si capisce l’importanza di un accesso immediato ai dati aziendali, secondo approcci metodologici precisi, che permettano di evitarne la perdita, anche dopo l’interruzione del rapporto di lavoro con il dipendente che li possiede.
La gestione strutturata del patrimonio informativo aziendale, in un’ottica di Document Management, ha impatto diretto sulla competitività dell’azienda, rendendo la conoscenza condivisibile e fruibile da tutti gli attori dei processi. La gestione cartacea di documenti durante tutte le fasi del loro ciclo di vita (dalla loro creazione, al loro utilizzo, alla loro eventuale distruzione), porta a costi e inefficienze dovuti, per esempio al tempo da dedicare di volta in volta alla loro ricerca. Tra i vantaggi che derivano dall’archiviazione elettronica dei documenti vi sono la riduzione degli spazi adibiti ad archivi, nonché una maggiore riservatezza e sicurezza nella fruibilità degli stessi, grazie anche ai moderni strumenti per la crittografia (la creazione di password di accesso e utilizzo in base a ruoli e funzioni).
Con l’archiviazione elettronica migliorano anche i processi collaborativi, perché i documenti archiviati digitalmente possono essere condivisi, modificati e integrati anche da più utenti, che magari operano in più sedi dislocate della medesima azienda, contemporaneamente e direttamente sul web, tenendo traccia delle revisioni apportate ai documenti stessi, lavorando su un unico modello di riferimento.
Questo rende i processi aziendali più fluidi e rapidi, consentendo anche di operare in maniera collaborativa con il resto della squadra, condividendo skill ed esperienze. I documenti elettronici sono l’elemento fondamentale del Virtual Workspace, un ambiente di lavoro virtuale su cui viene proiettato lo spazio fisico in cui opera un’azienda moderna e innovativa.



martedì 22 gennaio 2013

Knowledge Base

Si definisce Knowledge Base l’insieme delle risorse e delle conoscenze su cui si può basare una qualsiasi attività in rete. Una KB può essere un  insieme di dati strutturato (sotto forma di archivi o database), o destrutturato (ad esempio FAQ e messaggi scambiati all’interno di un gruppo di discussione).
Essa è il risultato di un processo di Knowledge Management e come tale può essere il prodotto finale di un percorso finalizzato alla costruzione collaborativa o alla condivisione della conoscenza.
La disciplina che studia la gestione delle conoscenze aziendali in tal senso è il Knowledge Management, e comporta la cattura e l’utilizzo delle skill dei lavoratori all’interno dei processi produttivi, per aumentare le prestazioni dell’azienda, in termini di efficacia ed efficienza nel suo complesso. Gli strumenti più opportuni e utilizzati a tal fine sono: la documentazione delle conoscenze individuali e la loro diffusione attraverso manuali o DB, che permette di costruire altresì un sistema di Workflow Management System (WFMS), in cui suddividere competenze e compiti, e il groupware per facilitare la comunicazione e la collaborazione a distanza.

venerdì 18 gennaio 2013

Knowledege Manager

Il 50% del prodotto interno lordo dei Paesi si basa sulla diffusione di conoscenze ed informazioni. Il compito del Knowledge manager è quello di diffondere queste conoscenze all’interno dell’azienda, permettendo a tutti di fruirne e creando i presupposti per stimolare la creatività del personale. Egli inoltre deve promuovere la flessibilità e favorire il proseguimento delle iniziative migliori.

martedì 15 gennaio 2013

Importanza dell’archiviazione elettronica

Negli ultimi anni l’importanza dell’archiviazione sta sempre più assumendo un ruolo determinante nella gestione dell’amministrazione pubblica e privata. Jean-Francois Blanchette in una relazione alle giornate d’informatica giuridica (2004 Berna), afferma che il documento elettronico assume sempre più un ruolo importante nella vita amministrativa e giuridica dei cittadini.
In uno studio di Gartner Group del 1995, fra 200 managers, il 60 % erano dell’avviso che un sistema di GED (gestione elettronica documentale) è importante al pari dei servizi di base quali e-mail, stampe, ecc. Questa percentuale cresce di anno in anno in maniera significativa e attualmente non esistono più dei managers che sono contrari a questo sistema.
Sulla base di studi degli autori del libro “Dokument-Management, Springer 2002”, con un processo di archiviazione elettronica abbinato ad un processo di workflow, si possono ottenere dei risparmi sia finanziari che in ordine di tempo.
L’archiviazione ottica è il sistema che permette a enti, uffici e aziende, di “alleggerire” gli archivi, rendendo più efficiente ed economico l’immagazzinamento e il reperimento di qualsiasi fascicolo.
Archiviare elettronicamente un documento significa convertire il suo contenuto (testi, immagini,
schemi, ecc.) in un formato tale da poter essere trattato da un sistema di elaborazione dati.
Queste informazioni devono essere poi completate con altre che permettano una corretta identificazione, catalogate ed infine memorizzate su supporti informatici, pronte quindi per essere riprodotte in caso di consultazioni e ricerche.
“La fase dell’acquisizione è quella che permette di passare dal documento originale ad una rappresentazione digitale dello stesso. Essa richiede che gli strumenti impiegati siano in grado di assicurare una buona fedeltà di riproduzione delle informazioni e la capacità di memorizzarle nel minor spazio possibile, al fine di ridurne l’occupazione nei supporti su cui saranno archiviate. L’esempio più efficace è rappresentato dallo scanner ottico. Quest’apparecchio, ormai d’uso comune, usato con opportuni software è in grado di convertire i contenuti dei fogli inseriti in segnali digitali ed inviarli direttamente all’elaboratore che provvede a comprimerli e salvarli su file. Durante questo processo l’immagine viene scomposta in singoli punti per ognuno dei quali vengono memorizzati sia il colore che la posizione.
Ne consegue che la qualità del risultato ottenuto è proporzionale al numero di punti utilizzati ed alla precisione con cui si descrive il loro colore. Questo concetto prende il nome di risoluzione grafica dell’immagine. Risulta perciò corretto affermare che maggiore è la risoluzione, maggiore sarà la definizione e quindi la qualità del documento prodotto. Allo stesso tempo, la necessità di gestire più informazioni avrà conseguenze importanti sull’occupazione della memoria.
La fase di catalogazione consiste nell’organizzare in maniera razionale il flusso dei documenti acquisiti e raggrupparli secondo differenti criteri al fine di agevolare al massimo le funzioni di ricerca e consultazione. Normalmente questo è realizzato tramite la creazione di un database contenente tutte le informazioni necessarie, come ad esempio il titolo dei documenti, la loro tipologia, la categoria d’appartenenza, la data d’acquisizione, il soggetto che l’ha effettuata ecc. Tutte queste voci comporranno la scheda d’identificazione e potranno essere integrate con altre che abbiano riferimenti diretti ai contenuti. L’efficienza dell’intero sistema dipenderà dal funzionamento e dalle prestazioni del database. Di notevole importanza sarà la capacità di rendere le informazioni accessibili in rete da parte di più utenti, sia a livello locale sia su reti globali come ad esempio Internet.
Durante la ricerca, le potenzialità riguarderanno soprattutto la possibilità di effettuare indagini specificando diversi criteri di selezione e ordinamento, per ottenere quindi nel più breve tempo possibile il risultato della richiesta. Il sistema infine dovrà garantire un buon livello di sicurezza per evitare che soggetti non autorizzati possano fruire delle informazioni riservate.
I dati dovranno essere quindi protetti con opportuni sistemi di codifica che consentano l’accesso tramite l’utilizzo di password. Una volta individuati, i documenti devono poter essere visualizzati o stampati. Questa è la fase di riproduzione (o presentazione). Qui entrano in gioco le caratteristiche tecniche sia del software di presentazione, sia dei dispositivi di output impiegati, come il monitor o la stampante. Il primo dovrà essere in grado di decomprimere, riconvertire i dati digitali ed inviarli
in maniera opportuna al dispositivo che dovrà riprodurli. Quest’ultimo, sia esso il monitor, la stampante o un’altra periferica, dovrà essere in grado di ricostruire e quindi rappresentare il documento nella maniera più fedele all’originale. Per quanto riguarda le stampanti, ad esempio, sono attualmente disponibili diversi modelli, con tecnologia al laser o a getto d’inchiostro, i quali riescono a realizzare documenti con risoluzioni davvero notevoli, assicurando una qualità di livello tipografico, ottima sia per riproduzioni grafiche di disegni che di fotografie. Tutti i dati prodotti nelle fasi descritte confluiscono e quindi occupano spazio nella memoria di massa dell’elaboratore utilizzato. La gestione degli archivi di grandi dimensioni, con un elevato numero di documenti, rende necessario l’impiego di supporti diversi sui quali memorizzare in maniera definitiva tutte le informazioni nel momento in cui queste superino la capacità del sistema. Una soluzione è fornita dall’impiego di supporti ottici. Una loro particolarità è quella di poter essere scritti fisicamente soltanto una volta e le informazioni registrate possono essere cancellate soltanto logicamente, senza quindi il recupero dello spazio occupato. Questo, che potrebbe a primo avviso sembrare un vero e proprio limite, è invece da valutare positivamente in termini di salvaguardia delle informazioni, considerati sia il costo molto contenuto del supporto, sia il fatto che solitamente le operazioni di cancellazione o di modifica sono molto limitate rispetto a quelle di inserimento. Inoltre questa proprietà è tenuta in forte considerazione dalle autorità preposte a regolamentare questo settore. Tuttavia il mercato mette a disposizione anche supporti riscrivibili (CD-RW) o addirittura magneto-ottici, che consentono accessi sia in lettura che scrittura”. (Mengarelli Stefano: L’archiviazione elettronica dei documenti, pagg 12-14)

sabato 12 gennaio 2013

E-Learning & Net-Learning

In un'economia che si basa sulla propagazione della conoscenza in un bacino di usi più esteso possibile, la rete che assicura canali veloci e globali alla propagazione non è un accessorio, ma un ingrediente essenziale.
Nell'economia del primo capitalismo, la rete di propagazione delle conoscenze era di tipo tecnico-scientifico e si basava essenzialmente sulla circolazione internazionale delle macchine e dei nuovi materiali. Ma, come si può capire, si trattava di una circolazione lenta e parziale, dal momento che le macchine incorporavano solo la conoscenza traducibile in movimenti meccanici e in proprietà tecnologiche date. Bisognava quindi prima tradurre le conoscenze disponibili in questa forma e poi mettere in circolazione macchine costose, richiedenti un forte investimento di capitale, facendole lavorare in contesti in genere disadatti o comunque diversi da quello di origine. La meccanizzazione si è dunque propagata lentamente e in modo diseguale nel mondo, essendo condizionata dalla disponibilità di ingenti capitali e da rischi elevati.
Nel fordismo la rete tecnologica è stata integrata e in parte sostituita dalla rete organizzativa, ossia dalla crescita dei canali di propagazione proprietaria interni alle grandi imprese, partendo da grandi imprese nazionali per finire con grandi imprese multinazionali. Il limite è dato dalla natura autarchica delle reti proprietarie e dai tempi necessari per estendere i volumi di un solo concorrente a scapito di tutti gli altri.
Dagli anni settanta in poi, la propagazione si è avvalsa di una rete di relazioni di tipo territoriale (capitale sociale). In questo caso, le imprese possono rimanere piccole (come accade nei distretti), senza ostacolare la propagazione delle conoscenze a scala locale, perché la contiguità fisica e culturale consente di specializzarsi nelle filiere, di copiare o imitare quello che fanno gli altri, di acquistare macchine, componenti, lavorazione o servizi dagli specialisti locali. Il limite sta nel fatto che il bacino di propagazione è necessariamente limitato all'area locale. Le cose cambiano con Internet e con la New Economy: per la prima volta si ha la possibilità di una propagazione istantanea e globale, di tipo non proprietario, ma aperta alla divisione del lavoro tra molti attori autonomi, anche di piccola dimensione. Sembra la quadratura del cerchio (massima propagazione possibile), ma non lo è: il limite è dato dal fatto che la propagazione è massima e a costo minimo solo se le conoscenze che vengono propagate da Internet sono codificate e automatizzate.
Negli ultimi anni, gli usi di Internet si sono evoluti rispetto a questo modello iniziale, che era in parte illusorio, perché non teneva conto del fatto che la conoscenza è utile soprattutto in situazioni complesse (varie, variabili e indeterminate), che sono quelle in cui la codificazione e l'automazione risultano spesso difficili o controproducenti. L'uso di Internet si evolve per tener conto della crescente complessità del mondo contemporaneo a tutti i livelli, affiancando ai canali in cui corre conoscenza codificata o banale, canali in cui invece si utilizzano le facoltà dell'intelligenza umana, l'apprendimento interattivo, la condivisione di progetti e di innovazioni.
Di qui la conseguenza a cui allude la distinzione tra e.learning e net.learning: la rete può essere vista in due modi abbastanza diversi. Ossia, come strumento per distribuire a costo zero e in tempo reale conoscenza pre-codificata (informazione), indifferente al contesto di uso; o come strumento per mettere in comunicazione, ad un costo più alto e in tempi non nulli, persone che si attrezzano - mentalmente, operativamente, fiduciariamente - per interagire tra loro nonostante la barriera della distanza.
I due modi di impiego della rete non si escludono: solo che è equivoco usare lo stesso termine per denotare due cose molto diverse. Il primo uso, quello che in genere si associa al prefisso e., mette in campo computers e procedure automatiche, con grandi economie di replicazione, grande rigidità e poca capacità di adattamento e di apprendimento. Il secondo uso, che si associa in genere al prefisso net., mette invece in comunicazione uomini e contesti che possono, attraverso la rete, avere un interscambio ricco e problematico, trattando situazioni complesse e realizzando forme condivise di innovazione, sperimentazione e apprendimento. Diciamo che il primo è produzione di massa, il secondo è produzione innovativa e personalizzata. Ma in ambedue i casi si genera valore attraverso la propagazione della conoscenza in rete.
Riportando questa demarcazione nei processi di formazione e apprendimento, diventa chiaro che l'e.learning è una forma di learning che usa la rete solo per avere materiali, procedure, accessi pre-codificati e a basso costo. Il secondo invece usa la rete per creare un processo sociale tra persone che a vario titolo partecipano ad un percorso di innovazione, sperimentazione e apprendimento. Le cose banali possono essere risolte col primo, le cose complesse richiedono il secondo procedimento. Inoltre, nel primo caso la rete viene utilizzata per disgiungere le persone che immettono in rete le informazioni e quelle che le usano, inseguendo il mito della disintermediazione; nel secondo caso, invece, la rete viene usata per congiungere chi produce la conoscenza, chi la trasferisce e applica a contesti diversi e chi, alla fine, la usa nella sua economia di consumo. Non si disintermedia, ma si collega, creando circuiti di comunicazione e interazione a distanza.

venerdì 11 gennaio 2013

Il cielo sulle ICT si prevede sereno

L'andamento e le previsioni di spesa del mercato ICT. 

Durante tutto l’arco del 2012, la spesa riguardante le Information and comunication technologies (Ict) a livello mondiale è cresciuta. Un fatto incoraggiante, rispetto alla situazione economica globale e determinato dai dati inerenti alle vendite, di apparecchiature hardware e software. Secondo Gartner, la spesa per le Itc è destinata ulteriormente a crescere nei prossimi mesi, guidata soprattutto dalla domanda di notebook e netbook.
Quello delle infrastrutture è il mercato migliore per ricavi e velocità di crescita e i segmenti più caldi sono virtualizzazione, sicurezza, integrazione, qualità del dato e business intelligence. Negli ultimi anni c’è stata una grande evoluzione nel settore del software sociale, tanto da spingere numerose società a considerare seriamente l’adozione di piattaforme e degli spazi di collaborazione per uso interno. Entro il 2015, infatti, i servizi delle reti sociali sostituiranno la posta elettronica come veicolo primario per le comunicazioni interpersonali, così come per le utenze aziendali, soprattutto per gli aggiornamenti di stato e le ricerche di competenze e di mercato. L’analisi delle reti sociali è una metodologia utile per esaminare gli schemi d’interazione e i flussi di informazione tra le persone e i gruppi di un’organizzazione (groupwares).
La distinzione rigida tra reti sociali e posta elettronica scomparirà, in quanto quest’ultima si arricchirà di molti attributi sociali, come l’intermediazione tra i contatti,  e allo stesso tempo le reti collaborative svilupperanno capacità di comunicazione tramite caselle di posta elettronica sempre più complete. Le organizzazioni, quindi dovranno sviluppare nuovi insiemi di competenze per la progettazione e l’erogazione di servizi e soluzioni, necessitando di un’ottimizzazione dei costi e della spesa operativa.
La mancanza di tali competenze specifiche in alcune realtà aziendali spingerà a ricorrere all’outsourcing (l’affidamento ad professionisti ed operatori esterni di singole azioni o interi flussi aziendali), considerato un sistema necessario e innovativo per il miglioramento dal punto di vista operativo e di esplicazione delle funzioni delle aziende stesse.
Buone notizie anche per le comunicazioni. Gli store di applicazioni avranno una notevole importanza, diventando un elemento essenziale per il settore dei dispositivi mobili, tenendo conto della crescente diffusione di smartphone e tablet. I giochi rimarranno l’applicazione preferita, ma anche le altre utility più o meno generiche (ad esempio per lo shopping o per social network) continueranno a crescere e ad attirare ricavi sempre più consistenti.

mercoledì 9 gennaio 2013

Business Knowledge Management - Quattroemme

Il gruppo Quattoemme è un'azienda di consulenza informatica e sviluppo software, specializzata in progetti per il knowledge management, la business intelligence, il social business. Tra le attività del gruppo c'è anche la gestione di un blog aziendale per la diffusione delle dinamiche relative a tematiche quali: knowledge management, collaboration, groupware, social business, business intelligence, social network analysis, knowledge workers, knowledge organization, learning organization.

http://bkmquattroemme.blogspot.it/

Le reti globali tra coscienza e conoscenza

La nostra era è caratterizzata da una crescita esponenziale della quantità di informazione in ogni ambito culturale e sociale. La quantità di dati elaborati prodotti negli ultimi trent’anni della storia dell’umanità, è uguale a quella accumulata in tutti i millenni precedenti, e nei prossimi decenni è destinata a raddoppiare ulteriormente. Paradossalmente, proprio in mezzo a questa mole di informazioni, dati, fatti e cifre è oggi più che mai evidente la nostra difficoltà a trovare una chiave logica e unificatrice di interpretazione di una realtà sempre più dinamica e competitiva, che ha bisogno di decisioni rapide, pratiche, e a volte intuitive.
Il Knowledge Management, cioè la capacità di gestire in maniera sistematica la conoscenza (intesa come la corretta collocazione e interpretazione delle informazioni), è la grande sfida di fronte a cui si trova ognuno di noi oggigiorno. Una serie di termini, quali know-how e knowledge worker, stanno entrando ormai nel vocabolario comune, dando importanza alla conoscenza come “asset economico e strategico”. Il tutto viene, ovviamente accelerato dalla convergenza dei moderni strumenti multimediali e della capacità di un loro corretto utilizzo, (know-how). Il valore della conoscenza è però strettamente legato a quello della “creatività”, in senso di capacità di sintesi analitica e logica della massa di informazioni che abbiamo a disposizione, nell’intento di produrre nuove prospettive e impulsi, da comunicare poi agli altri per generare competitività e, nello stesso tempo  condivisione.
E’, probabilmente, questo lo scopo di una nuova visone delle attuali tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ITC), come strumento altamente unificatrice dell’intera società umana, come già anticipava McLuhan.
La nuova cultura della conoscenza è stata definita cultura “tecnoetica” dal greco tèchne (tecnologia) e noetikòs (pensare). Questo genere culturale studia pertanto l’influenza reciproca fra tecnologia e conoscenza individuale per la costruzione di una nuova coscienza globale, in un interscambio costante che può essere sintetizzato con il simbolo usato dal chimico tedesco F. A. Kerulè per definire la struttura ciclica di una molecola di benzene: l’uroboros, ossia un serpente che si afferra la coda, formando un anello.
Il moderno “operatore, lavoratore” della conoscenza (knowledge worker) è, quindi un professionista dotato di “creatività” e intuizione, che sfrutta le informazioni e i dati a lui necessari per generare nuova conoscenza e accrescere le proprie competenze, con una visione critica d’insieme della realtà in tutte le sue sfaccettature: un “omnium horarum homo”, un “uomo per tutte le stagioni”, come direbbe Erasmo da Rotterdam per definire l’uomo rinascimentale, una figura che però ben si accosta all’internauta moderno, caratterizzato dalla sua sete di sapere, sapendosi astrarre dalla conoscenze specialistiche per meglio raggiungere la visione di insieme.


www.infooggi.it/articolo/le-reti-globali-tra-coscienza-e-conoscenza/33853

lunedì 7 gennaio 2013

Social networks tra condivisione e individualità

Un articolo da me redatto per Info Oggi, testata giornalistica quotidiana. Si parla dell'importanza e del ruolo dei social network come strumento di condivisione della conoscenza.

(www.infooggi.it/articolo/social-networks-tra-condivisione-e-individualita/33542).

La Rete è per eccellenza, lo spazio di condivisione della conoscenza e delle esperienze personali. Social Network, Community, Blog e Chat sono diventati autentiche piazze virtuali che permettono a tutti di avere il proprio momento di celebrità. A rischio risulta essere, però l’individualità di ciascuno di noi. Molte volte, infatti, è il pensiero individuale a essere sacrificato in nome di quello maggiormente condiviso. Gli stessi motori di ricerca come Google, ci indirizzano automaticamente verso risultati e suggerimenti che hanno dietro un ranking variabile secondo le visite che quelle pagine e quelle informazioni hanno già avuto da parte degli altri internauti, quasi a garanzia dell’attendibilità dei dati ottenuti come risposta delle nostre esigenze informative.
Postare, twittare, chattare, modificare il proprio status, ci hanno permesso di creare delle vetrine virtuali all’interno delle quali abbiamo un po’ tutti imparato a plasmare la realtà e a trasformarci in cantastorie.
Condividere significa avere qualcosa da mettere in comune con gli altri, vivere un’esperienza con gli altri e, oggigiorno lo spazio in cui individuale e collettivo si fondono è sicuramente la rete virtuale.
La creazione delle community ha dato origine al Social Activism, per la promozione delle cause più disparate, da quelle sociali a quelle etiche. I Social Network consentono innegabilmente la comunicazione con il mondo, dando la possibilità di apparire “co-produttori della conoscenza”, in un’epoca, quella ormai del Web 3.0, in cui la conoscenza stessa è alla base di qualsiasi processo produttivo, aziendale, ma anche politico, economico e sociale. E’ questa, però anche l’età dell’“apparire”, che il più delle volte coincide con l’”esistere per la massa”, quasi per non sentirsi tagliati fuori dal mondo, e niente meglio dei social networks può ovviare a questa “sensazione”, permettendo di rimanere in contatto con il mondo, scegliendo cosa comunicare e in che modo comunicarlo.
Usare questi strumenti virtuali ci ha insegnato anche a mentire con stile, facendo trapelare di noi solo la parte che pensiamo possa essere il più possibile gradevole agli occhi degli altri, modificando oppure omettendo ciò che potrebbe risultare invece meno piacevole, modificando le nostre abitudini sociali e sfumando sempre più il confine tra pubblico e privato, tra l’individuale e il collettivo.
Certo, avere un profilo su Facebook o su “essere” su Twitter permette di non rimanere mai da soli, almeno virtualmente, ma sicuramente, ritrovare e rivalutare la nostra individualità, ci consentirebbe di riacquistare la capacità di rimetterci in gioco nelle relazioni umane dirette, senza rimanere “intrappolati nella Rete”, e diventare così dei Social Network Victims.

venerdì 4 gennaio 2013

Cosa si intende per Economia della conoscenza.

L'economia della conoscenza sembra una "invenzione" o una "scoperta" degli ultimi anni. Apparentemente eredita il mito che, nel periodo della New Economy, era stato costruito intorno all'informazione (ossia alla conoscenza codificata in modo da essere trattata da algoritmi computerizzati). Solo che, nel linguaggio, si slitta dal termine (altamente compromesso con lo sboom della New Economy) di "informazione" a quello, più intellettuale e aperto, di "conoscenza".
Del resto, si tratta di uno slittamento naturale, inevitabile. Una volta emersi i limiti dell'informazione, che è conoscenza separata dai processi di apprendimento che l'hanno prodotta, si è scoperto la conoscenza come surrogato (equivalente funzionale) dell'informazione, riproponendo spesso lo stesso schema con la sola sostituzione del termine linguistico. Se il passaggio dall'informazione alla conoscenza viene preso sul serio, tuttavia, ci si accorge che la cosa non è così semplice e neutrale come sembra a prima vista. Una volta che l'economia dell'informazione (con le sue straordinarie proprietà replicative = riproduzione a costo zero) viene trasportata in un ambiente complesso, dove bisogna continuamente mettere a punto le conoscenze possedute per "inseguire" un ambiente non prevedibile, non basta più quel tipo di conoscenza codificata che sono i bit e il software destinati all'intelligenza dei computers e delle macchine, senza intervento dell'uomo e dell'apprendimento tipico degli uomini. Anche la mera replicazione di un'informazione o di un programma di software richiede un processo di apprendimento che mette in campo elementi di incertezza, di valutazione, di chiarificazione e di azione da parte di uomini e gruppi di uomini. Ciò riduce gli spazi disponibili per l'automatismo moltiplicativo proprio dell'informazione, e, al tempo stesso, aumenta - grazie all'adattamento e alla re-invenzione degli usi - la capacità di propagazione della conoscenza originale in un contesto di uso sempre più esteso e durevole. Dunque, l'economia della conoscenza è una cosa diversa dall'economia dell'informazione che trionfava ancora anni fa, e che aveva dato luogo alla metafora del "capitalismo informazionale" di Castells, anche se ci possono essere dei ponti che collegano i due mondi.
In realtà, questa (recente) filiazione dell'economia della conoscenza dall'economia dell'informazione è assolutamente riduttiva rispetto al ruolo reale che la conoscenza ha svolto come forza produttiva, assai prima che esistessero i computers e gli automatismi informatici.
Possiamo dire che la conoscenza è stata sempre - anche nel passato remoto - una risorsa importante ai fini della produzione (la produzione dell'homo sapiens è in effetti un'attività "sapiente" perché si distingue da tutte le altre attività produttive, naturali o animali, dal momento che impiega nel lavoro le capacità intellettuali del cervello umano), ma diventa forza produttiva fondamentale solo con l'età moderna, ossia in corrispondenza di quel passaggio fondamentale che fa emergere la conoscenza scientifica come conoscenza autonoma, libera dal potere della religione, della tradizione e dell'autorità politica. La scienza conquista questa autonomia utilizzando come banco di prova per la verità di un'affermazione il principio galileiano dell'esperimento, ossia della riproducibilità delle relazioni causa-effetto affermate.
Ma, una volta che si enuclea un sapere che ha la caratteristica di essere riproducibile, l'economia reale ha a disposizione una formidabile risorsa: una conoscenza astratta (quella della scienza e della tecnologia) che è costruita in modo da essere riproducibile dieci, cento, mille volte e in contesti diversi. Il capitalismo delle macchine, che nasce dalla rivoluzione industriale e si afferma nel corso dell'ottocento come economia della (prima) modernità ha, in effetti, la sua ragion d'essere nelle macchine, che incorporando conoscenza riproducibile (basata sulla scienza), consente enormi economie di scala. Infatti, il lavoro impiegato per progettare la prima macchina può essere ri-usato a costo zero per costruire la seconda, la decima, la millesima macchina. E il lavoro impiegato per progettare la prima unità di un prodotto ottenuto dalle macchine può essere ri-usato altrettante volte per ottenere migliaia o milioni di prodotti identici.
Questo significa che ogni euro (o ora di lavoro) investito nella produzione di nuova conoscenza può rendere molto o anche moltissimo, dal momento che quella conoscenza può diventare utile - generando valore per gli utilizzatori - non una ma cento, mille volte, con effetti moltiplicativi che cambiano radicalmente il significato del produrre rispetto all'economia pre-industriale. La novità sostanziale apportata dalla modernità sta in questo: nel fatto che diventa conveniente - grazie alla natura riproducibile della conoscenza - investire in processi di apprendimento. Si comincia a lavorare non per ripetere operazioni già note, ma per innovare, inventando nuove macchine, nuovi prodotti, nuovi significati. In precedenza la conoscenza veniva usata, ma - non essendo conoscenza riproducibile - il suo limitato bacino di uso rendeva non conveniente investire in apprendimento. La conoscenza che veniva usata nell'agricoltura pre-industriale o nell'artigianato era, in effetti, conoscenza ottenuta gratis dalla tradizione o da processi di learning by doing e di apprendistato che, pur avendo bassi costi, non realizzavano mai grandi economie di scala (da riuso). L'economia della conoscenza comincia dunque ad operare due secoli e mezzo fa, attraverso la meccanizzazione, per svilupparsi poi nel fordismo (dove diventa "organizzazione scientifica"), nell'economia dei distretti (sotto forma di economia della propagazione territoriale delle conoscenze relative alle tecnologie e ai mercati distrettuali), nella New Economy (in cui prende la forma di economia della replicazione/propagazione automatica delle informazioni).
Oggi ereditiamo tutto questo: non possiamo dunque dire che sia una novità. In tutta la modernità (dalla rivoluzione industriale in poi), il capitalismo moderno è stato una economia della conoscenza nel senso che il valore è stato prodotto, in gran parte, dalla propagazione degli usi delle conoscenze disponibili, e dal conseguente re-investimento dei profitti e dei salari così ottenuti nella produzione di nuove conoscenze.
Ma, perché il riferimento alla conoscenza non sia soltanto ornamentale, bisogna capire bene che cosa vuol dire: in cosa differisce il motore dello sviluppo economico quando questo motore viene alimentato dalla produzione e propagazione delle conoscenze, rispetto alla visione classica, in cui, invece, la "benzina" della crescita è data dall'accumulazione nel tempo del capitale e dai guadagni di efficienza che possono essere ottenuti allocando meglio le risorse, grazie alla forza selettiva del mercato e del calcolo imprenditoriale?
In linea generale, possiamo parlare di economia della conoscenza ogni volta che ci troviamo di fronte ad un segmento del sistema economico in cui il valore economico (utilità per i soggetti economici) viene prodotto attraverso la conoscenza. In questi casi, il lavoro umano non trasforma la materia prima, ma - se è lavoro cognitivo - genera conoscenze innovative che, col loro impiego, saranno usate per trasformare la materia (con le macchine) e creare indirettamente utilità. Oppure potranno, in altri casi, fornire servizi utili anche senza trasformare la materia prima, ma semplicemente fornendo un'informazione, una consulenza, una comunicazione che generano direttamente utilità presso l'utilizzatore ecc..
Le utilità create dall'uso della conoscenza possono derivare da diverse forme di uso. Prima di tutto possono derivare dalla riduzione dei costi di un precedente processo produttivo (efficienza). Ma possono anche derivare dalla creazione di un nuovo prodotto o servizio, che non esisteva in precedenza, o dalla produzione – attraverso la conoscenza – di significati, desideri, identità. Oppure dalla personalizzazione del servizio, dalla progettazione di esperienze coinvolgenti, dalla costruzione di rapporti fiduciari e di garanzia e così via. In tutti questi casi, la base materiale di un prodotto può anche rimanere inalterata o subire modificazioni banali: quello che crea valore, infatti, è direttamente la conoscenza, nelle sue varie forme, che viene applicata a tale base materiale.
Ma quanto pesa questa trasformazione? E' un fatto marginale o centrale nell'economia di oggi?
Basta poco per rendersi conto che questa è andata ormai tanto avanti da fornire una nuova base alla produzione tout court. A tutta la produzione, non solo a quella di oggetti esotici o di lusso.
In termini di utilità che l'utilizzatore riconosce e paga, infatti, il valore del prodotto materiale che esce dallo stabilimento è ormai solo una frazione minore - e continuamente decrescente - del prezzo pagato per acquistarlo. Un abito, nel momento in cui esce dallo stabilimento di confezioni, può valere cinque o dieci volte meno di quello che sarà pagato, presso il negozio, da chi lo indossa. La differenza è, appunto, dovuta al significato estetico, al servizio, al ruolo comunicativo che la moda ha associato al prodotto materiale stesso. Lo stesso vale per tutto ciò che riguarda l'abbigliamento personale, l'arredamento della casa, il cibo, il turismo, la cosiddetta wellness, e anche l'acqua minerale. Il valore dei beni è ancorato a elementi immateriali (significato, esperienza, servizio) prima che ai costi e alle prestazioni del processo materiale che l'ha prodotto.
D'altra parte, la smaterializzazione del valore comincia proprio dalla forza produttiva per eccellenza, ossia dal lavoro. Il lavoro oggi non è più, salvo rare eccezioni, lavoro materiale (uso della forza muscolare per trasformare fisicamente la materia prima in prodotto finito), ma è al 99% dei casi lavoro mentale (cognitivo), nel senso che usa le conoscenze di cui si dispone per produrre altre conoscenze, portatrici di utilità. E questo, al solito, non riguarda ormai pochi ruoli "intellettuali" (i professori, gli attori, gli scienziati ecc.) ma tutti i lavori: anche il lavoro operaio si sviluppa guidando macchine (con la conoscenza) e usando il cervello prima che i muscoli.
Se il lavoro è divenuto ormai totalmente lavoro cognitivo e se il consumo attribuisce la maggior parte del valore al significato o al servizio associato ad un bene materiale, invece che al bene materiale di per sé, dobbiamo prendere atto del fatto che un grande cambiamento si è ormai compiuto: la nostra economia reale è diventata un'economia in cui è la conoscenza che viene messa al lavoro. Viviamo di conseguenza in una forma di capitalismo cognitivo di cui occorre capire le leggi e le possibilità.
Quello che conta in questa trasformazione, non è tanto l'alleggerimento dei processi produttivi, che, come è stato detto, sposta l'accento dagli atomi (pesanti) ai bit (senza peso), quanto il cambiamento del "motore" che genera valore.
Nell'economia della trasformazione materiale (tradizionale) il valore economico era prodotto consumando i fattori produttivi impiegati secondo coefficienti tecnologici prestabiliti. In quel contesto, l'unico modo con cui la conoscenza - in aggiunta alla tecnologia - poteva aumentare il valore prodotto era attraverso il miglioramento dell'allocazione dei fattori tra i possibili usi alternativi. I mercati (prezzi relativi) e le imprese (calcolo di convenienza) facevano appunto proprio questo: generavano valore addizionale rispetto a quello consentito dalla tecnologia, agendo sull'allocazione delle risorse, croce e delizia dell'economia neoclassica di tutti i tempi (anche di quella di oggi). Il ragionamento era presto fatto: se prezzi di mercato e calcolo riuscivano a modificare l'allocazione delle risorse, in modo da destinare terra, lavoro e capitale agli usi che sono in grado, data la tecnologia, di produrre un maggior valore utile dal punto di vista delle preferenze (date) dei consumatori finali, si generava ipso facto un valore addizionale. Il motore dell'economia materiale era dunque fatto di tecnologia, mercati e calcolo: il resto non contava perché – si immaginava – che non potesse produrre valore, ma solo dare una coloratina superficiale al grigio mondo dei coefficienti tecnici, dei prezzi e dei calcoli.
Ma era un'idea sbagliata. Forse plausibile in un'economia di sussistenza dove desideri, esperienze e significati non contano, perché si tratta di ottenere dal lavoro quante più calorie e beni necessari possibili. Ma certo inadeguata a rendere conto di come funziona un'economia in cui le calorie bisogna diluirle e i beni sono diventati non necessari, spesso dannosi. In questa economia "ricca", che va oltre la sussistenza, i bisogni deperiscono se non si trasformano in desideri, le necessità perdono di cogenza, il calcolo mezzi-fini comincia a dare più importanza alla creazione di nuovi fini che all'efficienza con cui i mezzi li perseguono. Insomma, l'economia dei paesi sviluppati apre spazi di libertà che tecnologia, prezzi e calcoli non bastano a riempire. Ci vuole un approccio diverso che consenta di esplorare il nuovo, dando significato e valore alle esperienze possibili.
Questo passaggio viene compiuto attraverso l'economia della conoscenza, in cui il valore viene prodotto costruendo il mondo delle possibilità e creando forme e valori che non sono necessitati, ma frutto dell'immaginazione, della comunicazione e della condivisione.
In questo tipo di mondo, si realizza un cambiamento sostanziale rispetto al modello di produzione (materiale), centrato sul consumo dei fattori. Le conoscenze impiegate per produrre significati, esperienze e servizi, infatti, non si consumano con l'uso. Esse, anzi, mantengono o accrescono il loro valore man mano che vengono ri-usate, propagandosi ad usi successivi, man mano che il loro bacino di applicazione si amplia, nello spazio e nel tempo.
La base della produzione di valore, in un processo del genere, non è tanto la produzione di nuova conoscenza, quanto la propagazione della base di conoscenza pre-esistente in un bacino di usi sempre più ampio. La propagazione ovviamente costa, perché richiede investimenti per adattare le conoscenze a nuovi usi e a nuovi problemi, ma il costo di ri-uso non è mai così grande come quello di (prima) produzione. La propagazione crea valore perché la conoscenza, non consumandosi con l'uso, può essere replicata a costo zero, per tutta una serie di impieghi in cui si ripete lo stesso codice o programma, o, comunque, ad un costo molto basso.
In questo processo, gli usi potenziali di una certa conoscenza non sono alternativi, ma possono sommarsi tra loro mediante propagazione: ad ogni ri-uso della conoscenza si crea un valore addizionale, mentre i costi non crescono o crescono molto poco.
La propagazione, generando valore addizionale, è anche la fonte principale dei profitti ricavati dagli investimenti fatti nella produzione di nuova conoscenza e, successivamente, nella propagazione dei suoi usi. In questo senso, la propagazione è un processo che si ri-alimenta, rendendo conveniente investire nella produzione di conoscenze ulteriori e di ulteriore propagazione degli usi delle conoscenze preesistenti.
Se il valore economico è generato dalla propagazione delle conoscenze, che si rialimenta rinnovando le conoscenze iniziali, allora c'è bisogno di una vera e propria rivoluzione concettuale che porti a vedere il reale "motore" della crescita economica, fino ad oggi rimasto abbastanza nell'ombra. Ecco il significato profondo dell'economia della conoscenza: spostare la visione dell'economia dal processo di produzione a quello di propagazione, ossia dal consumo razionale dei fattori disponibili alla creazione di reti che facilitino la propagazione intelligente, nello spazio e nel tempo, di quanto la società sa e sa fare.
Anche la storia del capitalismo industriale deve essere riletta in questa chiave.
In questi due secoli e mezzo, la propagazione della conoscenza, destinata ad essere ri-usata in bacini sempre più ampi, e l'investimento in apprendimento sono rimaste caratteristiche costanti, anche se di ampiezza sempre maggiore; ma, nel corso del tempo, è cambiato il medium e il metodo della propagazione.
Prima la propagazione ha usato il mercato (per ampliare il circuito di vendita delle macchine), poi l'organizzazione, poi il territorio, poi Internet, e oggi la comunicazione interattiva nelle filiere produttive globali. Attraverso tutti questi passaggi la conoscenza si è "liberata" dalla necessità di essere incorporata in media materiali (le macchine, l'organizzazione, il territorio) e ha cominciato a circolare sotto forma virtuale, appoggiandosi a codici di software o a linguaggi. E' allora che le controfigure iniziali (macchine, organizzazione, territorio) hanno cominciato a non bastare più, costringendo l'economia teorica - che prima si contentava di queste - a fare i conti con la conoscenza in quanto tale, non riducibile a capitale (macchine), ad asset aziendale (organizzazione) o a capitale sociale (territorio). E qui sono cominciati i guai, perché la conoscenza ha proprietà che sono antitetiche rispetto a quelle delle "normali" risorse produttive (terra, lavoro, capitale), e che contraddicono dunque l'impianto di base costruito dalla teoria per spiegare il modo con cui, nella produzione, si genera valore economico.
Le risorse economiche classiche si caratterizzano per essere scarse (hanno valore perché ogni uso le sottrae ad usi alternativi), divisibili (ogni risorsa ha un valore determinato, disgiungibile dagli altri valori coinvolti nel processo produttivo sociale, perché può essere associata a costi e ricavi ad essa imputabili) e strumentali (le risorse sono puri mezzi, da ottimizzare, calcolando le allocazioni migliori per soddisfare fini dati). Ebbene, la conoscenza è una risorsa che, per sua natura (e specialmente se è conoscenza riproducibile) non è scarsa (avendo un costo di riproduzione nullo o quasi), non è divisibile (essendo i suoi costi e i suoi ricavi associati a processi sociali che legano passato e futuro e che intrecciano l'economia di un operatore con quella degli altri), e non è strumentale (perché il conoscere non elabora solo i mezzi, ma cambia le relazioni e le identità degli attori in gioco, modificando i fini, ossia le preferenze degli stessi).
Attenzione: la conoscenza produce valore propagandosi e rinnovandosi, con nuovi investimenti in apprendimento, proprio grazie a queste anomalie. Ossia proprio perché è moltiplicabile (non scarsa), è condivisibile (non divisibile) ed è riflessiva, potendo retroagire sui fini, invece di essere banalmente strumentale.
L'economia teorica tradizionale sta oggi riconoscendo l'importanza della conoscenza con due secoli di ritardo. Ma, in questo riconoscimento, rischia di fare più danni di quanto abbia fatto la sua secolare disattenzione. Infatti, una volta detto che la conoscenza è una risorsa produttiva fondamentale, l'economia tradizionale ha il riflesso condizionale di voler "normalizzare" le anomalie che la conoscenza presenta in quanto risorsa non scarsa, non divisibile e non strumentale. Senza pensare che sono proprio queste anomalie che la rendono una straordinaria fonte di valore economico, mettendo in moto una propagazione che sarebbe gravemente ostacolata una volta che la conoscenza - sottoposta alla terapia della normalizzazione - fosse diventata scarsa, divisibile e strumentale.
Si rischia, per questa incomprensione di fondo, di buttare via il bambino con l'acqua sporca: una conoscenza divenuta artificiosamente scarsa, divisibile e strumentale non sarà capace di propagarsi e di rinnovarsi con la stessa velocità e con la stessa qualità della conoscenza "anomala", che violava i principi classici dell'economia. Si tratta allora di percorrere la strada esattamente opposta, ossia di organizzare le proprietà anomale della conoscenza per renderle compatibili con la sostenibilità del processo di investimento nella produzione di nuova conoscenza. Ciò può essere fatto organizzando, con regole appropriate e in contesti adeguati, la moltiplicazione, la condivisione e la riflessività della conoscenza, in modo da utilizzare fino in fondo le proprietà generative che derivano da queste anomalie.
E' questo il presupposto da cui nascono le esperienze innovative di propagazione della conoscenza attraverso canali non consueti che organizzano l'open source nel software, il fair use nell'impiego di conoscenze protette da diritto d'autore, l'opposizione a criteri estensivi di brevettabilità nell'informatica e nella biologia, la creazione di canali comunitari di condivisione delle conoscenze, lo sviluppo di un'economia del dono che crea legame sociale e fiducia reciproca. Tutte esperienze che hanno come linea di sviluppo strategica la ricerca di forme di propagazione delle conoscenze che organizzino moltiplicazione, condivisione e riflessività in forme compatibili con il criterio di sostenibilità degli investimenti in apprendimento, con cui rialimentare continuamente il processo.

(Enzo Rullani, economista, Docente di Strategia d'Impresa all'Università Ca' Foscari di Venezia)