martedì 23 giugno 2015

Economia e condivisione della conoscenza

Lo studio della conoscenza è uno degli elementi più profondi e sfuggenti della storia, che economisti, sociologi e psicologi cognitivi hanno in passato affrontato sotto ogni aspetto, senza peraltro pervenire a risultati accettati da tutti.
La stessa Penrose nel testo “La teoria dell’espansione dell’impresa” cita: “… E’ chiaro che gli economisti hanno sempre riconosciuto il ruolo dominante della conoscenza nei processi economici, tuttavia nella maggior parte dei casi hanno ritenuto che il tema fosse troppo scivoloso per essere affrontato e non sono giunti pertanto a risposte significative ed univoche”.
Per molti anni, infatti, il legame tra economia e conoscenza è rimasto praticamente assente dalla teoria economica: la conoscenza era una risorsa del tutto invisibile; esistente ed importante certo, ma non analizzabile in modo concreto, per le sue proprietà specifiche di mutevolezza e dinamicità.
Da qualche tempo però le cose sono cambiate. Impercettibilmente, ma progressivamente, l’economia dei nostri giorni sta diventando un’economia cognitiva: da ogni luogo ci viene annunciato che stiamo entrando a far parte di quella che viene definita knowledge era. Un’era nuova, nuovissima, destinata a durare a lungo e a cambiare il mondo, cominciando proprio dal modo di funzionare della stessa economia.
La conoscenza è infatti diventata, nell’immaginario collettivo dei nostri giorni, il deus ex machina del capitalismo contemporaneo, capace di fornire alla stesso idee, soluzioni e linguaggi per innovare in profondità i processi produttivi e di consumo.
Al contempo, però, anche il contributo del mondo economico è stato significativo: esso ha corredato la risorsa- conoscenza dei mezzi necessari a far avanzare la frontiera del sapere in campi sempre più vasti e impegnativi.
Questa forte sinergia e la continua e crescente interdipendenza tra economia e conoscenza conducono necessariamente a considerare quest’ultima come un fattore chiave, come un elemento indispensabile a cui si ricorre per spiegare le differenze tra imprese, tra regioni e tra paesi; il volano che ogni anno alimenta la crescita del prodotto e della produttività, proponendo nuove tecniche, nuove soluzioni e nuovi bisogni. A getto continuo. L’era del lavoro e della proprietà sta finendo e con essa è la società industriale creata dalla rivoluzione delle macchine e del capitale, ad uscire progressivamente dall’orizzonte della contemporaneità. Le forze tradizionali non sono più il motore della crescita economica e delle attività che generano valore. Questo grande cambiamento, già avviatosi da qualche tempo, sembra doversi consolidare nei prossimi anni, divenendo anzi processo inevitabile e fulcro del futuro funzionamento dei sistemi economici. Ed è proprio da tale consapevolezza che parte la necessità di gestire e di coordinare le forze che si manifestano all’interno di questo complesso fenomeno in corso: occorre dotarsi di nuovi strumenti che sappiano far fronte ed amministrare una risorsa sui generis che è, appunto, quella della conoscenza; trasformare le organizzazioni in organizzazioni che apprendono, gestire in modo adeguato una nuova categoria di lavoratori. Si tratta, in definitiva, di predisporre un idoneo sistema di knowledge management che possa conferire alle imprese tutti i vantaggi che derivano da pratiche di condivisione della conoscenza. Nel 2008, sostiene il Gartner Group, tre quarti degli aumenti di produttività delle imprese saranno realizzati grazie al knowledge management e grazie ad altri miglioramenti nel lavoro basato sulla conoscenza.
Non si tratta, però, di una tendenza che può essere data per scontato, né tanto meno di un fenomeno di facile gestione: la convergenza tra due mondi che continuano ad essere tenacemente disallineati richiede competenze e capacità del tutto nuove, che occorre saper creare e “coltivare” per procedere con successo nella attività d’impresa. Il knowledge management, più che una disciplina, si configura pertanto come un modo nuovo, ma obbligato, di vedere la trama e i significati sottostanti la produzione di valore nella società contemporanea. Per utilizzare una metafora, che lo stesso Carlo Sorge ha addotto in una conferenza da lui tenuta nel 2005: “Il knowledge management è una nuova e particolare “panoramica” sul mondo esistente, che ci consente di leggere con occhi inediti e critici la realtà che si sta delineando (Canevacci, 1995), una realtà nuova, all’interno della quale le regole di riferimento sono costituite dalla globalizzazione, dall’information technology, dalla smaterializzazione del valore d’impresa”.
Impossibile non essere d’accordo con le parole di Sorge: anche il mondo accademico si sta muovendo in questa direzione. In coerenza con l’ormai consolidata resource based view si assiste alla nascita di una vera e propria fabbrica dell’immateriale (Rullani, 2005): di una fabbrica dove agli aggettivi di concreto e reale si è appoggiato quello di intangibile, dove all’attenzione al concetto di costo e di prezzo si è affiancato quello di conoscenza e di informazione.

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