martedì 2 agosto 2016

DOSSIER 'L'Albero di Lullo': Comunicazione ecologica: didattica attiva e condivisione delle esperienze

Conoscenza 2.0, nuove tendenze e stili/metodi di apprendimento, partendo da processi di apertura all'altro, per la co-costruzione delle esperienze e di nuovo sapere. Ne abbiamo parlato con la dott.ssa Barbara Costantini, formatrice e facilitatrice dell'apprendimento per l'ente di formazione FORMART (BO).

Progettare esperienze di formazione: quali sono le variabili influenti e i fattori di successo di un processo di apprendimento valido?
I progetti formativi solitamente si rivolgono e sono sviluppati per gruppi di persone accomunate da interesse verso un tema, dal ricoprire un ruolo simile nel contesto professionale, dall’avere background di istruzione paragonabili, per citare solo alcuni aspetti. Dalla mia esperienza, sia nel ruolo di facilitatrice che di partecipante, al di là dei caratteri di omogeneità citati, la motivazione personale resta un elemento importantissimo per godere appieno del momento formativo. Inoltre, se esistono obiettivi formativi che si riferiscono al raggiungimento di competenze (saper fare) e capacità relazionali (saper essere), la migliore modalità formativa da proporre risulta il metodo attivo (discussioni, case study, role playing, laboratori esperienziali, outdoor, teatro etc.). Esiste un’ampia letteratura sul “sapere/saper fare/saper essere”, una sintesi interessante può essere consultata al seguente link Lavoro e professioni

L’approccio esperienziale ha alla base l’idea di una persona intera, presente e attiva rispetto alla quale il processo di apprendimento risulta tanto più efficace quanto più stimola l’autonomia, la ricerca del proprio sviluppo personale, quindi la crescita. In tale contesto il ruolo del docente si trasforma in quello di facilitatore, orientato alla persona in apprendimento. Il facilitatore alimenta un clima vitale e costruttivo, sostiene forme di comunicazione partecipata (rete circolare) e la sua azione è orientata alla crescita dei potenziali dei singoli, nel rispetto degli obiettivi del gruppo.

Il ruolo del facilitatore diventa necessario se “saltano” i criteri di omogeneità e il contesto risulta estremamente eterogeneo: dal mio punto di vista, occorre far emergere i fili rossi (esistenziali) che ci permettano di incontrarci nella nostra umanità. Da lì possiamo costruire il nostro reciproco apprendimento. Facilitatore e partecipanti insieme.

Reggio, nel suo bellissimo libro “Il quarto sapere” (2010), ci ricorda che “l’esperienza come apprendimento è soggettiva, frammentaria, si basa sull’interruzione della routine, implica passaggi di trasformazione in profondità. Si viene a creare un rapporto con il mondo di carattere inter-attivo in cui il soggetto (a seconda delle condizioni di contesto e personali) intenzionalmente e consapevolmente agisce nei confronti del mondo distinguendosi da esso e affermandosi come soggetto teso all’autonomia. L’apprendimento dall’esperienza, nel suo movimento del generare, mette in luce la sua qualità poetica, di creare forme nuove, di combinazione originale tra elementi già noti. Dalla generazione affiorano la sorpresa, lo stupore e la meraviglia per quanto fatto. Aspetti generativi possono anche non risultare espliciti e consapevoli nel momento nel quale l’esperienza avviene o immediatamente dopo; rimangono quiescenti e nascosti fino a che altre esperienze e la nostra capacità di imparare da esse, non permettono di recuperali, farli emergere a livello di coscienza, concretezza e comunicabilità. La generazione dura, quindi, nel tempo e produce effetti anche a distanza”.

Come fare a scegliere i contenuti giusti, opportuni e necessari per massimizzare il risultato e il valore di un intervento formativo?
I contenuti, nel mio caso la strada da percorrere attraverso esercitazioni/esercizi con metodi attivi, risponde alle richiesti dei committenti che hanno determinate esigenze rivolte a collaboratori, responsabili, partecipanti etc. Questa è la cornice macro in cui pongo domande per capire come essere di aiuto e anche per condividere il mio ruolo di facilitatrice con modalità ecologica (vd. sotto). Quando sono sul campo, le persone sono al centro, protagoniste e la mia direzione è tenere insieme l’obiettivo da raggiungere (es. apprendere a comunicare in modo ecologico), impegnandomi ad accogliere le persone “là dove si trovano” in quel momento, rispettando i tempi e le possibilità di ognuno. Se mi trovo con gruppi di persone caratterizzati dal massimo grado di eterogeneità e bassa motivazione, in fase di progettazione cerco di immaginarmi quali strumenti/riflessioni possano essere di aiuto in ambito professionale e personale, in base anche all’attuale fase economica (es. comportamenti desiderabili, consapevolezza di sé et al). Costruisco il percorso, dedicando il primo momento della giornata a raccogliere in diretta eventuali bisogni formativi. Questo rende protagoniste fin da subito le persone, mi dà la possibilità di rispondere a richieste precise e mette già in luce i fili rossi in circolo, così importanti. Inoltre, nel corso dell’incontro, i partecipanti vedono prendere corpo (o meno) i valori/concetti/bisogni espressi nel primo giro di condivisione/presentazione. Raramente le persone restano indifferenti al processo. Questo è già l’inizio dell’ apprendimento, che poi avrà la possibilità di diventare nuova routine o cambiamento a seconda dei fattori personali e situazionali di ciascuno di noi.


Una frase che mi ha colpito del tuo blog: "il risultato di un'azione formativa di successo sta nel riuscire a creare le basi per trasformare l'ambiente di lavoro in una comunità in cui si può essere sé stessi...". In relazione a questo, la conoscenza in un'ottica di condivisione delle esperienze può incidere in un processo che porta consapevolezza di sé stessi?
La comunità prende forma se ci incontriamo sul terreno esistenziale, piuttosto che tecnico. Se lavoriamo sui nostri valori, le nostre capacità e qualità. Il tutto, allenandoci alla sospensione del giudizio, all’apertura, affinchè sia possibile, per tutti, esprimersi nel rispetto di sé stessi, degli altri e del luogo di lavoro. Condividere esperienze ci fa sentire meno soli, meno strani, ci fa avvicinare. Questo è valido anche quando facilito gruppi di colleghi, abituati a stare in relazione solo tramite il ruolo professionale. Rispettare il ruolo, arricchendolo con la nostra identità, migliora il clima di collaborazione, alimentando il benessere. La consapevolezza di se stessi aumenta proprio stando in relazione.

Comunicazione ed empatia, quanto le competenze relazionali sono importanti per migliorare l'ambiente lavorativo che diventi così collaborativo e sviluppi appieno l'idea di comunità di pratica?
Ogni organizzazione è un’organizzazione complessa perché deve coniugare diversi livelli di realtà: il mercato esterno (la domanda degli utenti, degli stake-holders, lo stato dell’economia etc.) con quello interno, ossia i suoi abitanti- cittadini che hanno sì, ruoli e mansioni, ma allo stesso tempo sono attraversati da emozioni, bisogni, aspettative. E’ difficilmente pensabile poter eccellere nella gestione del primo livello, dimenticandosi del secondo, o preoccupandosi degli aspetti solo materiali (retribuzione, piano ferie etc.).
Le ricerche in tema di organizzazione, svolte dalle principali società di consulenza internazionale (GreatPlaceToWork) e Università (Harvard Business School), rilevano empiricamente come la fiducia tra colleghi sia la caratteristica essenziale che contraddistingue i migliori ambienti di lavoro, con conseguenti risultati economici brillanti.
Uno spazio caratterizzato dall ’attenzione all’altro e dall’ espressività individuale ha un effetto diretto sulla stima reciproca e sullo sviluppo di relazioni interpersonali (empatiche) proficue e di reciproco vantaggio-benessere. Diviene evidente come la relazione –verso varie direzioni- sia al centro di qualsiasi progetto organizzativo di benessere e sviluppo.

Se dovessi tradurre quanto sopra in parole chiave, utilizzerei termini quali ascolto, apertura, entusiasmo, condivisione, sintonizzazione.
Il risultato di un’azione rivolta al benessere organizzativo sta nel riuscire a creare le basi per assimilare l'ambiente di lavoro ad una comunità, in cui si può essere se stessi, esplorare alternative con la possibilità di sbagliare, apprezzare la diversità dell’altro e tanti aspetti ancora.
In tal modo la “fatica quotidiana” condivisa si trasforma, diminuendo l’eventuale stato di tensione, chiusura, debolezza, che sono alcune delle manifestazioni causate dal blocco delle emozioni “negative” all’interno del corpo (solitamente fermo davanti al PC!). Spesso, in presenza di questo blocco, o a seguito di eccessivi carichi di lavoro, pensieri ed emozioni si alimentano fino a diventare un fastidioso circolo vizioso che aggiunge carico extra alla giornata lavorativa.

Come si potrebbe definire la 'comunicazione ecologica'?
Jerome Liss, professore ordinario all'Istituto di psicologia clinica dell'Università di La Jolla/Svizzera e fondatore della Scuola Italiana di Biosistemica, ha vissuto per diffondere la cultura dell’ascolto profondo e della comunicazione ecologica, ossia l’ applicazione dei principi ecologici alle relazioni umane: coltivare le risorse di ogni persona, rispettare la diversità e nello stesso tempo mantenere una coesione globale in modo che le persone possano agire insieme per un obiettivo comune. Personalmente, quando mi affidano “corsi” di comunicazione, ai committenti preciso sempre che la mia proposta è un percorso più che un corso, per tutto quello che ho descritto in precedenza. Allo stesso tempo, alle persone che incontro, faccio presente che alla base dell’apprendimento, soprattutto in una cornice di comunicazione-relazione,l’intenzione personale è fondamentale: se non desidero “incontrare l’Altro”, posso fare tutti i corsi del mondo, che non mi sarò spostata dalla mia posizione.



Barbara Costantini, counselor biosistemico con specializzazione in gruppi di auto-aiuto e master in gestione delle risorse umane, lavora da anni in ambito organizzativo (imprese, enti pubblici), facilitando lo sviluppo dei singoli e del gruppo di lavoro di cui fanno parte, come supporto al raggiungimento di obiettivi personali e aziendali, in un ambiente relazionale che si arricchisca della comunicazione ecologica e ascolto profondo (à la Jerome Liss). Svolge attività privata di counseling, coaching a mediazione corporea rivolta agli adulti. Facilitatrice con metodi attivi per enti di formazione in Emilia-Romagna. Dal 2007 co-conduce una compagnia di playback theatre (teatro sociale d’improvvisazione) che offre le performance nelle “comunità”, condividendo con esse storie ed emozioni. Videointervista al seguente link Conseling Biosistemico

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